L’Europa si prepara a una trasformazione radicale nel settore della difesa, con l’obiettivo di rafforzare significativamente le sue capacità militari. Questo è quanto promesso da Andrius Kubilius, l’ex primo ministro lituano, ora nominato primo commissario europeo per la difesa, una carica istituita di recente nell’Unione Europea. La minaccia principale, secondo la NATO e il suo segretario generale Mark Rutte, è rappresentata dalla Russia, che potrebbe mettere l’Europa di fronte a una situazione geopolitica ancora più complessa nei prossimi cinque anni. Tuttavia, sembra che la burocrazia europea non abbia ancora pienamente compreso la gravità della situazione.
Le risorse a disposizione dell’Unione e dello stesso Kubilius sono limitate: al momento, si parla solo di incentivi economici per incoraggiare i paesi membri ad aumentare e rendere più efficiente la spesa per la difesa e la produzione bellica. Tuttavia, non vi è ancora una strategia militare unificata né piani concreti per esercitazioni congiunte o per la creazione di un esercito comune. Nei prossimi cento giorni, il nuovo commissario presenterà un piano di riforma della politica di difesa europea.
Mancanza di coordinamento
Mark Rutte e le agenzie di intelligence dei paesi dell’UE hanno lanciato un avvertimento: se l’Europa non prenderà misure adeguate, entro cinque anni la Russia potrebbe essere pronta a uno scontro diretto con la NATO e l’Unione Europea. Durante un discorso alla conferenza annuale dell’Agenzia europea per la difesa, il commissario Kubilius ha sottolineato come l’invasione russa dell’Ucraina abbia evidenziato gravi lacune nel sistema di difesa europeo, nonostante la maggior parte dei paesi UE faccia parte anche della NATO.
Un esempio lampante di queste difficoltà è stata la promessa, fatta nel marzo 2023, di fornire all’Ucraina un milione di proiettili d’artiglieria da 155 mm in un anno. L’iniziativa, definita “storica” dall’allora capo della diplomazia europea Josep Borrell, si è rivelata troppo ambiziosa per le capacità europee. In otto mesi, l’UE è riuscita a consegnare meno di un terzo della quantità promessa, a causa di una serie di ostacoli.
In primo luogo, la capacità industriale europea si è rivelata insufficiente. Alcuni esperti avevano messo in guardia sul fatto che, nonostante la disponibilità di fondi, la produzione non sarebbe stata immediata. Questa previsione si è avverata, come ha ammesso anche il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius.
Un altro problema è stata la lentezza con cui i governi europei hanno effettuato gli ordini, nonostante i produttori avessero aumentato la capacità produttiva. Il commissario per il mercato interno, Thierry Breton, ha sottolineato che le fabbriche europee non potevano avviare la produzione senza garanzie sui contratti. Quando gli stock di munizioni sono scesi drasticamente, è emerso che erano stati ordinati solo 180.000 nuovi proiettili.
Infine, le priorità politiche ed economiche hanno spesso interferito con le decisioni strategiche. I ritardi nei finanziamenti e nella consegna delle armi hanno coinciso con il fatto che il 40% della produzione bellica europea veniva destinato all’export extra-UE. Inoltre, c’erano divergenze tra i paesi membri su come attuare il piano: ad esempio, la Lettonia suggeriva di acquistare munizioni al di fuori dell’UE, ma questa proposta è stata respinta dalla Commissione.
Alla fine, l’Europa è riuscita a fornire all’Ucraina il milione di proiettili, ma con un ritardo di nove mesi. Secondo il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ritardi simili si verificano anche con altri equipaggiamenti, in particolare gli aerei da combattimento, che l’Ucraina attende ancora in quantità sufficienti.
Cooperazione simbolica
La creazione della carica di commissario per la difesa appare più come un gesto simbolico che un reale cambiamento di strategia. L’Unione Europea continuerà a seguire le linee guida stabilite per la politica di sicurezza comune, concentrandosi su misure economiche piuttosto che su iniziative militari concrete. Kubilius non avrà il compito di coordinare le forze armate dei paesi membri, ma piuttosto di gestire il settore degli appalti e della produzione bellica.
Fino al 2022, la Commissione Europea non aveva alcuna competenza diretta in materia di difesa. L’invasione russa dell’Ucraina ha spinto l’UE a rivedere la sua politica, ma senza arrivare a istituire un vero e proprio ministro della Difesa europeo. Kubilius si occuperà principalmente di coordinare la produzione bellica e di incentivare gli investimenti nel settore.
Gli strumenti a sua disposizione includono la Strategia europea per l’industria della difesa (EDIS) e i progetti finanziati dal Fondo europeo per la difesa (EDF) e dal programma di Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO). Inoltre, dovrà collaborare con il Servizio europeo per l’azione esterna (EEAS) e l’Agenzia europea per la difesa (EDA).
L’ex premier lituano potrà contare sul supporto di altri funzionari europei, tra cui l’ex premier estone Kaja Kallas e il primo ministro polacco Donald Tusk, entrambi favorevoli a un rafforzamento della difesa europea.
Obiettivi del nuovo commissario
Nei primi cento giorni del suo mandato, Kubilius dovrà presentare un documento di indirizzo – una “Libro Bianco” – contenente proposte per riformare la politica di difesa dell’UE e identificare le necessarie fonti di finanziamento.
Tra le iniziative previste, c’è la creazione di un mercato unico per i prodotti e i servizi della difesa, in modo da centralizzare gli acquisti e standardizzare la produzione bellica europea. Inoltre, si lavorerà a progetti congiunti, come la difesa cibernetica e la creazione di uno scudo aereo europeo.
Il costo dell’autonomia
La questione chiave rimane il finanziamento. Con l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti, l’Europa potrebbe trovarsi costretta a gestire in autonomia la propria sicurezza, senza contare sul tradizionale supporto americano. Washington ha già segnalato che gli alleati europei dovranno investire di più nella difesa.
Attualmente, l’Europa importa il 78% del proprio armamento dall’estero, con circa l’80% degli acquisti provenienti dagli Stati Uniti. La strategia di difesa dell’UE punta a ridurre questa dipendenza, portando al 50% la quota di armamenti prodotti internamente entro il 2030 e al 60% entro il 2035.
Tuttavia, la realizzazione di questo obiettivo potrebbe incontrare ostacoli. Alcuni stati, come Polonia e paesi baltici, sono favorevoli a un forte aumento della spesa militare, mentre altri, come la Germania, mostrano più reticenza. Inoltre, la necessità di standardizzare gli armamenti potrebbe creare tensioni tra i produttori nazionali.
Insomma, mentre l’Europa cerca di rafforzare il proprio settore della difesa, permangono dubbi sulla capacità dell’UE di superare le proprie divisioni interne e di avviare una vera trasformazione del suo apparato militare.