Con il lancio del suo ultimo modello di intelligenza artificiale, DeepSeek, una poco conosciuta azienda cinese ha messo in crisi anni di strategie americane volte a frenare l’innovazione tecnologica della Cina. Nel farlo, ha avuto un impatto diretto sulle valutazioni di colossi come Nvidia, leader statunitense dei chip per l’AI, e Siemens Energy, produttore di attrezzature elettriche per data center. Dimostrando di poter aggirare le restrizioni all’export imposte dagli Stati Uniti, DeepSeek ha messo in discussione la convinzione che l’accesso a grandi quantità di semiconduttori avanzati sia essenziale per lo sviluppo dei modelli di intelligenza artificiale.
La rapidità con cui la Cina sta riducendo il divario con gli Stati Uniti nel settore dell’IA è sorprendente, considerando che fino a poco tempo fa era nettamente indietro e che Washington ha adottato misure aggressive per limitarne il progresso. L’amministrazione Biden ha vietato l’esportazione di chip avanzati necessari per l’addestramento dei modelli IA e ha tagliato l’accesso della Cina alle macchine indispensabili per produrre semiconduttori di qualità comparabile. Tuttavia, nonostante questi ostacoli, la Cina sta sovvertendo le aspettative e le ultime evoluzioni nel settore potrebbero trasformare radicalmente l’economia dell’IA, rendendo sempre meno netta la leadership americana.
DeepSeek: la new entry
L’elemento più destabilizzante dell’ascesa di DeepSeek è il suo modello a basso costo. Secondo l’azienda, il suo sistema è stato addestrato con un budget inferiore ai 6 milioni di dollari, un importo significativamente inferiore rispetto ai miliardi di dollari spesi da aziende americane come OpenAI. DeepSeek sostiene di aver ottenuto questi risultati attraverso un approccio innovativo nella struttura dei modelli, rendendoli più efficienti e meno dipendenti dall’hardware avanzato.
Se questa affermazione fosse vera, potrebbe segnare una svolta nell’industria dell’IA: fino ad oggi, il costo di addestramento di un modello avanzato rappresentava una barriera d’ingresso altissima, consolidando il dominio di pochi giganti tecnologici. Ma DeepSeek potrebbe aver dimostrato che si può ottenere un livello di prestazioni competitivo con un investimento molto più contenuto. Questo aprirebbe le porte alla proliferazione di modelli AI su scala globale, con implicazioni enormi non solo per l’economia del settore, ma anche per gli equilibri geopolitici.
Ma chi sta finanziando DeepSeek?
Le dichiarazioni di DeepSeek sulla riduzione dei costi restano tuttavia poco trasparenti. Non esistono verifiche indipendenti e non è chiaro se l’azienda abbia realmente trovato un metodo rivoluzionario per ridurre l’uso di chip avanzati, o se ci sia dietro un attore nascosto che sta finanziando l’iniziativa per motivi strategici copiando semplicemente i modelli americani ed utilizzando molti più chip ed energia di calcolo di quanto dichiarato. E’ più che probabile che DeepSeek possa aver ricevuto ingenti finanziamenti da fonti governative o istituzionali cinesi, con l’obiettivo di sfidare direttamente l’industria americana dell’IA, proprio come accaduto con TEMU, la piattaforma di e-commerce cinese che ha invaso i mercati occidentali lavorando in perdita.
A rendere la vicenda ancora più intrigante è la figura enigmatica di Liang Wenfeng, fondatore di DeepSeek. Nato nel 1985 in un villaggio povero vicino a Zhanjiang, Liang ha sempre dimostrato un talento eccezionale per la matematica, al punto che già alle scuole medie risolveva problemi di livello universitario. Dopo essersi laureato all’Università di Zhejiang, ha fondato un hedge fund quantitativo, High-Flyer, che nel 2021 gestiva asset per circa 14 miliardi di dollari. Proprio da High-Flyer è nata DeepSeek, inizialmente come unità di ricerca interna dedicata allo sviluppo di algoritmi di deep learning per il trading.
Nel 2019, High-Flyer ha investito 200 milioni di yuan in un progetto chiamato “Fire-Flyer 1” e successivamente ha speso un altro miliardo di yuan per dotarlo di 10.000 unità grafiche A100 di Nvidia, un arsenale tecnologico detenuto solo dai colossi cinesi del settore, come Alibaba e Baidu. Nel 2023, DeepSeek è diventata una società indipendente, lanciando il suo primo chatbot AI e scatenando una guerra dei prezzi che ha costretto le big tech cinesi a ridurre le proprie tariffe per restare competitive.
Una corsa verso la Superintelligenza?
L’emergere di DeepSeek ha messo in allarme gli Stati Uniti, che ora devono confrontarsi con un avversario che, pur non avendo i migliori modelli IA, è riuscito a svilupparli a costi molto più bassi. Questo potrebbe portare a una nuova frammentazione del mercato: se creare un buon modello AI diventa più accessibile, sempre più paesi cercheranno di sviluppare il proprio. Allo stesso tempo, se il costo per eseguire questi modelli continuerà ad aumentare, potrebbe verificarsi una specializzazione in modelli su misura per applicazioni specifiche, invece del predominio di pochi grandi modelli generalisti.
L’altro rischio per gli Stati Uniti è che la Cina, aggirando le restrizioni tecnologiche con innovazioni proprie, possa avvicinarsi pericolosamente alla cosiddetta superintelligenza, ossia un’IA con capacità cognitive superiori a quelle umane. In un simile scenario, la dinamica “winner takes all” potrebbe tornare a favorire un singolo paese, e se fosse la Cina a conquistare per prima questa vetta, avrebbe un vantaggio strategico senza precedenti, non solo sul piano militare, ma anche nella guerra dell’informazione e nella propaganda globale.
Come rispondere?
L’annuncio dell’amministrazione Trump di un massiccio investimento nelle infrastrutture per l’IA è un passo nella giusta direzione, ma potrebbe non bastare. Gli Stati Uniti devono anche rimuovere le barriere burocratiche alla costruzione di data center e facilitare l’assunzione di ingegneri stranieri – leggi: immigrati – per mantenere la leadership tecnologica. Inoltre, il sistema di appalti per la difesa dovrebbe essere riformato per incoraggiare un’adozione più rapida dell’IA nei settori strategici.
Washington non dovrebbe, invece, eliminare le restrizioni all’esportazione di chip avanzati, anche se il divieto non ha impedito alla Cina di fare progressi in questo campo. Tuttavia, il rischio è che l’IA possa rivelarsi un’arma tanto letale quanto le armi nucleari. Gli Stati Uniti non fornirebbero mai ai loro avversari i componenti per costruire bombe atomiche, e la stessa logica dovrebbe valere per i chip avanzati.
Più critico potrebbe essere il cosiddetto “AI diffusion rule” proposto dall’amministrazione Biden, che mira a limitare l’accesso alla tecnologia americana per alcuni paesi. Se gli Stati Uniti presuppongono di essere l’unica opzione per le altre nazioni (pensiamo ad India e Indonesia), questi potrebbero finire spinti tra le braccia della Cina.
La Silicon Valley spera in una nuova ondata di innovazioni che riaffermi il primato americano. Forse accadrà. Ma sarebbe un errore dare per scontata la superiorità tecnologica dell’America.